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L’evoluzione del Rap e i consigli per i rapper emergenti: Intervista ad Alien Dee

In questa intervista con Alien Dee, in vista della nuova edizione del Tour Music Fest, abbiamo raccolto le sue impressioni sul Rap contemporaneo i suoi consigli ai rapper emergenti che vogliono costruirsi un futuro nella musica.

Selezionatore, coordinatore artistico e coach del Tour Music Fest per la sezione Rap/Hip-Hop, Alien Dee è il precursore del Beatbox in Italia. Nella sua carriera ha rappresentato il nostro Paese in gare ed eventi internazionali e collabora con Noyz Narcos, i  Colle der Fomento e moltissimi altri rapper. In questa intervista Alien Dee ci ha raccontato la sua visione del mondo del rap, dagli inizi fino ai sound attuali regalando consigli utili ai rapper emergenti per distinguersi e costruirsi un futuro nel mondo della musica.

Ciao Alien, fai parte della scena Hip Hop da tantissimi anni e hai collaborato con grandi artisti. Come hai scoperto l’Hip Hop e quando hai deciso che il BeatBox sarebbe stato più di una semplice passione?

Ho scoperto l’HipHop a cavallo tra il 1996 e 1997, grazie ad un mio compagno di liceo che già ascoltava rap. Lui mi ha passato i primi dischi americani e italiani, da lì in avanti la quotidianità è stata sempre incentrata nel cercare di reperire più informazioni e nozioni possibili sulla storia del rap, dei graffiti, della breakdance, del djing e di come queste manifestazioni si fossero riunite in un’unica grande cultura chiamata Hip-hop.

Oggi il Rap in Italia ha raggiunto il grande pubblico anche grazie alla diffusione soprattutto tra i più giovani di generi come la Trap e la Drill. Secondo te a cosa è dovuta la vertiginosa ascesa di un genere che fino a qualche decennio fa era marginale nel mondo della discografia?

Temo che molto banalmente la semplificazione del linguaggio abbia dato accesso alla massa ad un genere che prima era molto più per una nicchia di persone culturalmente più curiose, più legate allo studio socio-politico del territorio, più ricercato e settoriale. Oggi chi ascolta trap e derivati, ascolta indistintamente anche qualsiasi altro tipo di musica commerciale; è legato al mondo dei social, all’apparire più che alla sostanza, e a tutta una serie di cose che hanno fortemente indebolito la coerenza sia sonora che del messaggio. Sono venute un po’ meno le motivazioni che spingevano il rap, passando dall’unione al singolo, all’ego.

Attenzione, non che prima, nel mondo del rap e dell’Hip-hop in generale non ci fosse spazio anche per egocentrismo e arroganza, ma l’attenzione per la cultura equilibrava e superava comunque tutti gli aspetti più legati al narcisismo, in favore di un intento comune.

Dall’Old School alla Trap…come e perché credi che si sia evoluto il rap negli ultimi anni?

È cambiata la sonorità, sono cambiate le motivazioni, di conseguenza è cambiato il pubblico di riferimento. Ai miei tempi se non avevi studiato la storia del rap, se non conoscevi i dischi e non avevi visto film e documentari utili a comprendere l’Hip-hop, non eri accettato.

Se non eri pronto per salire su un palco, non ci salivi, se non eri pronto a incidere, non ti facevano pubblicare. Era decisamente molto più difficile farsi conoscere rispetto ad oggi, non c’erano social, non c’era YouTube. Non c’era modo di viralizzare né i propri contenuti né le proprie storie. Oggi in questo senso, nel senso della consapevolezza artistica intendo, il livello si è molto abbassato. Come, di contro, in molti casi, è salito vertiginosamente invece il livello tecnico. Come dire, all’inizio era più difficile imparare a fare le cose, ma nel suo lento svolgimento rimaneva comunque molto più educativo.

Nel corso della tua carriera hai incontrato tanti rapper e hai collaborato con vere e proprie icone del rap Italiano. Quali sono secondo te le caratteristiche che accomunano i rapper di successo?

Il rapper di successo è un buon comunicatore, che sa far coincidere ottima narrazione e alte capacità di intrattenimento in perfetto equilibrio. Questo significa aver qualcosa da dire, saperla dire, o meglio rappare, avere un bel contesto musicale di supporto e far arrivare al pubblico emozione, verità e, perchè no, divertimento.

Sei uno dei coordinatori della commissione artistica del TMF e nelle scorse edizioni hai incontrato e ascoltato tanti artisti emergenti. A tuo parere su cosa deve concentrare le proprie energie un rapper per avere successo?

Senza alcun dubbio sul livello della narrazione e nella credibilità, è fondamentale. Se mancano queste cose è finita la funzione del rap. Sicuramente l’originalità: agli esordi l’Hip-hop in tutte le sue forme è sempre stata una battaglia dichiarata sul chi fosse più originale e riconoscibile. Guai a copiare un sound, guai a copiare un passo a un breaker, guai a fare una lettera simile ad un altro writer. Poi ovviamente bisogna saper anche performare…quindi è davvero importante avere delle opportunità per esibirsi e ricevere feedback dal pubblico e dagli addetti al settore. Oggi è importante anche saper respirare e saper modulare la voce, è importante il marketing, la comunicazione, la presenza scenica…insomma bisogna lavorare e migliorarsi su diversi aspetti. Al TMF aiutiamo gli artisti proprio in questo.

Nel rap il beat gioca un ruolo importantissimo nella costruzione e nella resa di un brano, quali sono le caratteristiche che non possono mancare in una strumentale ben congeniata?

Lo spazio per il rap, la musica non deve mai prevalere sulla voce o distogliere l’attenzione dalle parole. In questo ad esempio si è perso molto, dando molto più spazio al sound e cercando di inglobare sempre di più la voce del rapper nella base, soprattutto confondendolo e rendendolo sempre più melodico con utilizzo di effetti, e dando quindi di conseguenza meno spazio al contenuto, in favore della musica.

Dipende da qual è il fine e qual è la ricerca. Se vuoi impressionare col sound la strumentale sarà molto orchestrata, se vuoi dare risalto alle parole e alla tecnica del rapper sarà più “scarna” pur mantenendo musicalità.

All’inizio il rap era intrattenimento, improvvisazione di rime fatte sulle batterie dei classici funky alle feste dei djs nei blocks statunitensi. Il dj, arrivato al momento di una parte “stuzzicante” diciamo, di qualche brano, tagliava sapientemente a tempo quel brano, sfruttando 2 copie di quello stesso pezzo su due giradischi. Quello che in gergo si chiama cutting ossia l’abilità di tagliare delle parti di un brano al fine di trasformarlo in un altro. Col tempo la costruzione della strumentale è diventato il riferimento musicale, sui cui scrivere brani, all’inizio mantenendo lo stile della sovrapposizione ed utilizzo di samples presi da altri dischi, poi più avanti con l’orchestrazione e programmazione su software. La strumentale è e deve essere l’accompagnamento sonoro e ritmico del rapper, e non il contrario.

Al TMF partecipano sempre più rapper che presentano diverse sfaccettature del genere, alcuni di loro sono all’inizio del proprio percorso, altri hanno più esperienza. Quanto è importante per loro confrontarsi con professionisti del settore e grandi conoscitori della materia come te, Moder e gli altri coach TMF?

Assolutamente fondamentale. Indipendentemente dalla materia di riferimento. Avere la possibilità di potersi confrontare con dei professionisti fa tutta la differenza del mondo. Puoi ricevere pareri, avere dritte per portare più avanti seguendo un percorso giusto. A patto di mettere in gioco sempre un approccio umile da entrambe le parti.

La nuova edizione del TMF è alle porte e quest’anno torna l’appuntamento con i Rap Camp, secondo te perché un rapper dovrebbe partecipare al Tour Music Fest?

Il TMF è aggregazione e il Rap Camp del TMF, è esattamente ciò che manca nel mondo della musica oggi. Mi spiego: se una volta l’Hip-hop esisteva quando esisteva l’aggregazione, esisteva quando si viaggiava per andare ad un concerto o a una jam in giro per l’Italia. Oggi purtroppo è per lo più casa, Instagram, Spotify. Si è persa la voglia di confrontarsi, di condividere, di creare un punto dove riunirsi nella propria città ed andare ad incontrare i gruppi nelle altre.

Le dinamiche che si creano al Rap Camp emulano perfettamente il senso di condivisione che deve essere la chiave della musica e della creatività. Dove si ha tantissimo anche la possibilità di confrontarsi coi coach, prendere consigli, fare domande e trovare nuove collaborazioni. Il Rap Camp è un luogo per la curiosità e un artista, per definirsi tale, deve essere curioso.

Ringraziamo Alien Dee per il suo tempo e le sue parole, siamo sicuri che i suoi consigli risulteranno molto utili ai rapper che parteciperanno al quest’anno al Tour Music Fest.

Vi aspettiamo per vivere insieme a voi un’altra edizione memorabile!

Tour Music Fest – We Love Your Music!

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